Analisi Junghiana

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Analisi Junghiana 2017-07-05T17:12:28+00:00

La personalità secondo Jung

Jung, diversamente da quanto risulta dai diversi Manuali diagnostici, compresa l’ultima edizione del DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), non parla mai, nelle sue Opere, di Disturbi della Personalità, ma di Personalità tout court, assimilando questo termine a quello di carattere, che viene utilizzato come sinonimo, senza operare nessuna distinzione tra i due. Egli ritiene che l’educazione alla personalità sia preziosa e necessaria per contrastare la figura dell’uomo-massa, l’uomo a una dimensione al quale farà riferimento H. Marcuse, legato alla Scuola di Francoforte, alcuni anni più tardi. Jung ribadisce, a più riprese, che solo le grandi personalità, e non la massa sempre sottomessa e incapace di qualsiasi partecipazione attiva, siano state in grado di produrre cambiamenti storici.

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Quanto agli strumenti di cui ci si può servire per diagnosticare il tipo di personalità, Jung ritiene utile sia l’esperimento associativo, che lui condusse utilizzando il galvanometro e il pneumografo, convinto che le associazioni verbali, il come e il perché si associa in un certo modo, dipendano da come siamo.

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Sia i complessi a tonalità affettiva, personalità parziali, quelle che gli uomini primitivi chiamavano demoni o che, nel Medioevo, venivano definite possessioni. Sarebbero i complessi, quelli che provocano una momentanea ed inconscia modificazione della personalità.

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La definizione di Personalità

Jung ritiene che ogni essere umano sia dotato di una indole innata e che la Personalità, che egli distingue in interiore ed esteriore, rappresenti la realizzazione di questo elemento che ci caratterizza sin dalla nascita. Chiama Anima la personalità interiore, intendendo, con questo termine, in una delle due accezioni in cui egli lo utilizza, l’atteggiamento che si assume verso i processi psichici interni.

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Mentre chiama Persona, la Maschera con la quale si manifesta l’atteggiamento verso l’esterno. E ritiene che tra Anima e Persona esista un legame di complementarità; per cui il carattere dell’Anima si può dedurre da quello della Persona, così, se la Persona è intellettuale, ad essa fa riscontro un’Anima sentimentale, e viceversa accade in caso contrario.

7Quanto alle differenze che si possono riscontrare tra i sessi, una donna molto femminile presenta un’anima maschile, caratterizzata, quindi, da irremovibilità, ostinazione, caparbietà, mentre, un’anima femminile, quindi molto impressionabile e influenzabile, la si può riscontrare in un uomo molto virile.

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Imitazione e identificazione

Jung distingue l’imitazione, che avviene a livello conscio, dall’identificazione che, invece, opera a livello inconscio. L’identificazione produce delle conseguenze nella personalità in quanto il soggetto rinuncia a se stesso a favore di un oggetto, che può essere rappresentato, per esempio, da uno dei genitori, confondendosi con esso, quasi non ci fosse nessuna differenza tra soggetto e oggetto. L’identificazione, se non contenuta entro certi limiti, ostacola il processo individuativo e facilita la dissociazione della personalità.

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L’Ombra

L’Ombra, secondo Jung, costituisce una componente costante della personalità, la parte inferiore, arcaica, primitiva, una sorta di seconda personalità che presenta spesso aspetti puerili e opposti a quelli della personalità cosciente. Essa, tra tutti i tratti della personalità, è quello che affiora per primo nel corso dell’analisi e segna l’inizio del processo individuativo. Nell’Ombra è immersa la personalità che si manifesterà in futuro e che non risulta ancora visibile.

Alcuni tratti dell’Ombra, ma non tutti, possono essere integrati alla personalità cosciente. Così è possibile integrare, prendendone coscienza, la parte di femminilità inconscia dell’uomo che Jung, nella seconda accezione in cui utilizza questo termine, chiama Anima, e quella di virilità inconscia della donna che prende il nome di Animus. Jung ritiene che non sia invece possibile integrare l’immagine archetipica femminile e maschile.

Se non si è coscienti dell’ Ombra, attraverso il meccanismo della proiezione, le sue caratteristiche verranno attribuite agli altri.

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Come si forma la personalità

Jung ritiene che il neonato non sia una tabula rasa, ma che nasca già con una particolare personalità, una psiche preformata, una predisposizione di carattere ereditario che si svilupperà nel corso della vita palesandosi attraverso i comportamenti.

Affinché la personalità si sviluppi si rende necessaria e inevitabile una presa di distanza, un isolamento, dalla dimensione indifferenziata e inconsapevole della massa, da quelle che rappresentano le convenzioni sociali, morali, politiche e religiose che costituiscono un impedimento allo sviluppo personale. La realizzazione della propria interezza, della propria originalità, risulta penalizzata dalla dimensione collettiva che tende piuttosto all’omologazione di tutti gli esseri umani.

Chi sceglie la strada dello sviluppo della propria personalità viene ritenuto spesso pazzo o posseduto da un demone o da un dio.

Lo sviluppo della personalità, soprattutto delle grandi personalità, avviene anche seguendo, in modo consapevole, la propria voce interiore, decidendo di consacrarsi, quindi, alla propria vocazione. Mentre le personalità più modeste è più probabile che seguano la voce del gruppo sociale, che si pieghino ai bisogni collettivi.

Ruolo dei genitori nella formazione della personalità

La famiglia gioca sicuramente un ruolo nello sviluppo della personalità, ma ciò che risulta determinante è piuttosto un fattore irrazionale, un deus ex machina e se l’uomo non sviluppa la propria personalità, mettendosi all’ascolto della voce interiore, si lascia sfuggire il senso della propria vita.

I genitori plasmano la personalità del bambino, inconsciamente, senza che sia necessaria la verbalizzazione, e questo accade, soprattutto, se il bambino è un soggetto malleabile e dotato di sensibilità.

Sono le persone creative che, provando l’esigenza di realizzare una vita individuale, entrano, inevitabilmente, in conflitto con gli insegnamenti ricevuti.

La psicologia dei genitori influenza la psicologia del bambino e incide, in modo determinante, sui suoi disturbi psichici. Risulta, quindi, utile, occuparsi, oltre che dell’educazione del bambino, anche, di quella  dei genitori e degli educatori che, con i loro atteggiamenti sbagliati, con la loro incompetenza, la loro immaturità, il loro essere degli eterni fanciulli, esercitano un’influenza negativa sulla psiche del bambino, impedendogli di sviluppare la sua personalità.

Non si può correggere nessun errore nel bambino, se, lo stesso adulto, continua a commettere quello stesso errore. Il bambino è perfettamente in grado di capire cosa è autentico e che cosa non lo è, e prende in considerazione i comportamenti, e non le parole degli adulti. Si educa, infatti, con l’esempio, più che con le parole.

Nella creazione della personalità un ruolo importante lo gioca, inoltre, la scelta del nome, così come il battesimo, in quanto, da sempre, al nome,viene attribuito un potere magico.

Occorre che l’adulto possegga tre qualità, se vuole aiutare il bambino a sviluppare la sua personalità, e queste sono : fermezza, integrità e maturi

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Nella seconda metà della vita, quando avviene una parziale femminizzazione nell’uomo e una parziale mascolinizzazione nella donna, la personalità subisce una delle trasformazioni alle quali è soggetta lungo tutto il corso dell’esistenza.

 

 

Ruolo degli archetipi

Jung ritiene che gli archetipi, modelli di comportamento che agiscono in modo autonomo e autoritario, condizionino fortemente la personalità conscia, fino a possederla.

Gli archetipi si presentano, spesso, nei sogni sotto forma di animali, e simboleggiano la  libido non differenziata, che rappresenta una parte della personalità umana, quella che costituisce la psiche antropoide, la quale fatica a sottomersi alle forme razionali assunte dalla civiltà, così come allo sviluppo culturale e manifesta una propensione a regredire, tornando ad uno stato primordiale, lungo un percorso che riporta all’infanzia, cioè alla madre.

La regressione è contraria alla vita e ne scombina le basi istintuali.

L’identificazione con gli archetipi influenza la personalità e ne condiziona lo sviluppo.

34L’archetipo dell’eroe

 

I cambiamenti della personalità

Conversioni improvvise, così come profondi cambiamenti spirituali, apparentemente incomprensibili, possono trasformare la personalità. E’ un’immagine collettiva dalla quale l’individuo è attratto e che, finendo col possederlo pienamente, può causare una disgregazione della personalità, una schizofrenia. L’inconscio collettivo, che costituisce la base di ogni personalità, la parte inferiore, se, invece, viene integrato, darà luogo ad una personalità ampliata. In una personalità fragile potrebbe, però, avvenire un’inflazione, con conseguente esagerata affermazione dell’Io, che può arrivare fino ad una patologica volontà di potenza.

Lo sviluppo della personalità risulta compromesso quando non ci si differenzia dalla psiche collettiva, quando l’individuale finisce col fondersi con il collettivo.

Non sono solo i fattori esterni che possono provocare cambiamenti nella personalità, ma anche fattori interni, come possiamo constatare nelle psicosi o, anche, nelle intuizioni creatrici, e questo può accadere all’improvviso o gradualmente. Però, anche il cambiamento improvviso, in realtà, è stato preparato a lungo nell’inconscio, a volte sin dall’infanzia.

Il periodo che precede il cambiamento di personalità è spesso caratterizzato da una perdita di energia che viene sottratta, alla coscienza, dal mutamento in corso. Questo accade anche prima che si palesino certe psicosi, oppure, nei momenti, caratterizzati dal silenzio e dal senso di vuoto, che anticipano il lavoro creativo.

La personalità si modifica, inoltre, quando si prende coscienza di contenuti inconsci, per cui si supera l’unilateralità e il rischio di dissociazione, e la personalità ne risulta, in tal modo, ampliata. E’ la confessione e l’analisi dei sogni che permette di trasferire, il contenuto dell’inconscio personale, nella coscienza. Ed è la funzione trascendente che, nella conciliazione dei contrari, produce una modificazione.

Nei sogni possono apparire delle componenti latenti della personalità e, l’analisi di una serie di sogni, può rivelare un processo evolutivo della personalità, un processo di individuazione. Anche se Jung ritiene che questo sviluppo non avvenga in tutti gli individui.L’inconscio, comunque, tende a fare in modo che l’individuo diventi una totalità, composta di coscienza ed inconscio e, quando ciò avviene, nei sogni compaiono i simboli del Sé: il cerchio, il mandala, l’immagine di Dio, la montagna e l’albero.

senza-titolo-1Il mandala

Per giungere all’integrazione della personalità è necessario che intervenga l’archetipo
del vecchio, le cui caratteristiche sono: la riflessione, la saggezza, la prudenza,  l’intuizione, la benevolenza, la sollecitudine.

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Lo sviluppo della personalità può essere ostacolato dagli affetti rimossi, quella che Jung chiama la “fissazione degli affetti”, ritenendo, l’affettività, il fondamento imprescindibile della nostra personalità.

La personalità risulta impoverita, o presenta una doppia natura, o una doppia coscienza, o si scinde, quando, pensiero ed azione, che Jung considera sintomi dell’affettività, vengono disturbati e alterati da un forte complesso, che può interferire nell’evoluzione del complesso dell’Io.

Le innervazioni somatiche caratterizzano lo stato affettivo e costituiscono l’Io. La personalità è il complesso più forte e, se non c’é patologia, essa riesce a superare le tempeste psicologiche.

Il complesso causa dei collegamenti associativi errati che vanno portati alla coscienza del paziente, perché egli possa liberarsi da questi nessi, e modificare il suo punto di vista, affrancandosi, in questo modo, dal complesso.

Altro ostacolo allo sviluppo della personalità è rappresentato dalla regressione che avviene se si assecondano, troppo a lungo, le attività infantili, le quali, inevitabilmente, entrano in contrasto con le esigenze dell’età adultà, allora, si verifica una dissociazione della personalità.

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Per le donne, un ostacolo allo sviluppo della loro personalità, è rappresentato da una ipertrofia del materno, per cui, lo scopo prevalente della loro vita, viene ritenuto quello di procreare, e l’uomo viene visto come semplice strumento per la riproduzione. Sono donne inconsapevoli della loro personalità che vivono identificandosi con gli altri, vivendo per loro. A questa inconsapevolezza fa riscontro, a livello inconscio, una volontà di potenza.

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Anche l’essere solo figlia impedisce alla donna di utilizzare le sue qualità che finiranno con l’essere proiettate su un marito che ne è privo, e che risulterà, in tal modo, sopravvalutato.

La stanchezza fisica o psichica, una malattia somatica, o un affetto intenso, o uno shock, con conseguente pesantezza, svogliatezza, pessimismo, difficoltà ad affrontare la realtà quotidiana, possono provocare una riduzione della personalità, una “perdita dell’anima”, come la chiamano i primitivi. Si assiste, in questi casi, ad uno sgretolamento della personalità, la continuità della coscienza si interrompe, le singole parti possono diventare autonome e sottrarsi al controllo della coscienza.

Nei casi di riduzione della personalità aumenta l’egocentrismo e la personalità originaria può risultare alterata.

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Nella prima metà della vita, oltre che ridursi, la personalità si può anche ampliare, e questo, può accadere, solo se l’interno è pronto ad accogliere gli stimoli esterni.

Se, invece, la personalità viene afferrata dalla “possessione”, si modifica anche la sua struttura interiore, per cui, un pensiero, un contenuto, o una parte della personalità, conquista il predominio sull’individuo. La possessione è molto prossima alla paranoia.

La possessione può avvenire ad opera dell’Ombra, la “funzione inferiore”, oppure da parte dell’Anima o dell’Animus o da altri archetipi.

Altre trasformazioni la personalità le può conoscere quando avviene l’identificazione con un gruppo, per cui, il livello di coscienza si abbassa, così come il senso di responsabilità, la suggestionabilità prevale e si produce una forma di identità inconscia, una participation mystique. Il gruppo facilita una regressione psicologica e si corre il rischio di essere fagocitati dalla psiche di massa e contagiati da epidemie psichiche.

Oltre che con la massa, altre identificazioni, come quelle con il dio o l’eroe, possono trasformare la personalità e ciò può accadere, o attraverso dei riti, o attraverso le pratiche dello yoga, o in modo naturale, come avviene nelle concezioni di rinascita.

I mutamenti di personalità possono essere preannunciati dalla comparsa della figura del fanciullo nei sogni.

 

I diversi tipi di personalità

Jung delinea i diversi  tipi di personalità e ne descrive le caratteristiche.

La personalità nevrotica

Rifacendosi a quanto affermato da Janet, Jung ritiene che, questo tipo di personalità, presenti una arretratezza nello sviluppo individuale che risale, in genere, all’infanzia. Anche se questa personalità conserva una certa unità, può, a causa di un complesso vitale, scindersi. In questi casi, la personalità scissa, che ne risulta, si pone, rispetto all’Io, in un rapporto compensatorio o complementare.

Assimilando progressivamente i contenuti dell’inconscio, il nevrotico può giungere ad una integrazione della sua personalità, superando quella dissociazione, frutto di un conflitto tra l’inconscio personale e la coscienza.

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La personalità isterica

Alla base della personalità isterica agisce un complesso che non è stato mai superato.

E’ una personalità caratterizzata da instabilità, reazioni senza controllo, imprevedibili e bizzarre, distrazione e onirismo. Anche Janet aveva rilevato, nei giovani isterici, indifferenza e distrazione.

Nei casi gravi di isteria il non ricordare è un tratto sempre presente, risulta una divisione fra certi comparti della memoria, accade la rimozione completa, con conseguente perdita dei ricordi, che assume un carattere patologico. La coscienza dell’Io viene sopraffatta dal complesso, e finisce con l’agire come una seconda personalità. Lo stesso accade nei deliri isterici, dove l’Io può essere scisso o rimosso e viene sostituito, provvisoriamente, da un forte complesso.

Affetti ed emotività, nell’isterismo, risultano molto accentuati.

Anche se in questa personalità il complesso si presenta meno stabile, e con una intensità variabile rispetto a ciò che accade nella schizofrenia, essa risulta simile alla personalità schizofrenica, per la presenza di un complesso dominante, incompatibile con il complesso dell’Io.

Il paziente, in questi casi, si scinde in due personalità, conservando i suoi rapporti emotivi, tanto che è possibile entrare in relazione con lui. Le personalità dissociate, contrariamente a quanto accade nella schizofrenia, rimangono, in qualche modo, interconnesse e apparentemente la persona risulta integra ed è, inoltre, in grado di provare reazioni affettive. La personalità di base non scompare mai, mentre, nella schizofrenia, risulta frammentata, scissa, e questi frammenti non potranno mai più ricomporsi, per cui ci si può mettere in relazione solo con un frammento alla volta, la continuità è andata persa.

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La personalità epilettica

Per diagnosticarla si può osservare la degenerazione psichica cui va incontro, pur nella sua stabilità. I campi interessati da questo processo sono quello intellettivo, quello del comportamento, dove sono evidenti l’irritabilità, la lunaticità, l’acccentuato egocentrismo, la ridondanza di tutti sentimenti spirituali, tra questi, soprattutto quello religioso.

In questi soggetti, se sottoposti ad esperimento associativo, si nota una prevalenza di predicati, risultano lenti e senza senso i collegamenti con la parola stimolo, analoghi a quelli di individui con alterazioni mentali.

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La personalità schizofrenica

In questo tipo di personalità si possono notare affetti incontrollati e un’emotività simile a quella delle personalità isteriche e a quelle epilettiche. I complessi autonomi acquistano molta più stabilità e arroganza, e non rispettano più la gerarchia dell’Io.

Un rapporto affettivo, anche se non duraturo, con questa personalità lo si riesce ad avere solo se si penetra nel complesso, ma, subito dopo, ricompare la freddezza e l’estraneità e la loro caratteristica tendenza a conservare con ostinazione le loro affermazioni deliranti, anche fino alla fine di una terapia. Con loro fallisce ogni possibilità di influenzamento e questo può pregiudicare la riuscita dell’analisi.

Il complesso autonomo interferisce, in questi casi, con l’attenzione, l’orientamento, il delirio, le allucinazioni e sfocia nella compromissione grave di queste attività psichiche.

La personalità schizofrenica finisce con lo scomporsi nei suoi vari complessi e, il complesso dell’Io, viene sommerso, fino quasi a dissolversi. La fissazione definitiva dei complessi rende, per questi malati, molto difficoltoso l’adattamento all’ambiente, risulta compromessa quella che Janet chiama “fonction du réel”. Prevalgono, sempre di più, i contenuti inconsci, che si sostituiscono alla realtà; l’inconscio svolge il ruolo dell’Io e questo provoca confusione e delirio. La propensione all’autonomia dell’inconscio si palesa soprattutto negli stati affettivi, in presenza delle emozioni e, non diversamente da ciò che accade negli individui normali, producendo uno scambio di ruoli tra l’Io e l’inconscio. La scissione, dovuta all’autonomia dei complessi che perdono il loro legame con l’Io, è assoluta, con conseguente dissociazione grave e irreversibile, vengono compromesse le basi stesse della personalità.

Quando la psiche va in pezzi sono i simboli collettivi che giocano un ruolo di primo piano.

Gli esseri umani non evocano in questi pazienti nessuna risonanza e i loro legami emotivi sono esposti a frequenti rotture definitive.

I complessi possono, per esempio nei sogni, personificarsi e, fino a che rimangono inconsci, non potranno essere corretti e, quando la scissione e l’autonomia si accentuano, diventano personalità parziali e assoggettano l’Io che presenterà uno stato di possessione.

Non è tanto la fragilità dell’Io che causa questo disturbo, quanto la peculiare potenza degli affetti nel complesso patogeno che indebolisce l’Io-personalità, con conseguenze distruttive che finiscono col minare irrimediabilmente l’unità della personalità. Jung non esclude che, questo processo, possa essere provocato da una tossina, essa stessa frutto degli affetti. Egli riteneva questi pazienti incurabili e confessa che, solo raramente, è riuscito a rimettere insieme i frammenti di queste personalità disgregate.

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La personalità disarmonica o segiuntiva

Fu Otto Gross che utilizzò il termine segiunzione, ripreso da Jung, per indicare dei complessi connessi tra di loro in modo molto leggero e che creano, per questa loro caratteristica, una personalità disarmonica o “segiuntiva”.

In questi casi può accadere che, un complesso particolarmente forte, che si sottrae all’influenza degli altri complessi, divenga dominante, si oppone ad ogni critica, ed acquista autonomia che, nei casi patologici, assume le caratteristiche di un’idea ossessiva o paranoica indiscutibile, che finisce col soggiogare l’intera vita dell’individuo.

Secondo Gross questa sarebbe la personalità tipica della persona introversa, che è esposta al rischio di gravi nevrosi ossessive.

Se un individuo sviluppa solo la funzione “superiore”, che è espressione della personalità cosciente e rappresenta le intenzioni, la volontà, la capacità realizzatrice dell’individuo, la libido delle funzioni “non differenziate”, risulterà impoverita, in questo modo, queste funzioni finiranno con il cadere sotto la soglia della coscienza e, sprofondando nell’inconscio, vengono in contatto con le basi arcaiche, provocando una dissociazione della personalità. Più ci si distacca da se stessi, più le funzioni inconsce assumono un carattere arcaico e l’inconscio sviluppa dei sintomi che turbano la funzione superiore.

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La personalità del bambino dotato

Jung, a proposito degli individui dotati, precisa che, la genialità, spesso, non riguarda tutte le aree, in alcune, anzi, si potrebbe, addirittura, riscontrare un deficit. Sono i gradi di maturazione che potrebbero essere diversi: in alcuni ambiti si potrebbe verificare una precocità, in altre un ritardo.

Possedere un talento può generare un senso di superiorità e, di conseguenza, un Io inflazionato, che andrebbe ridimensionato con una certa umiltà. Nella realtà, invece, accade, spesso, che bambini dotati vengano viziati  ed essi crescono, così, nella convinzione di meritare un trattamento speciale.

Lo scarto dalla norma, sia verso l’alto, sia verso il basso, che questi bambini presentano, li espone ad una conflittualità interna.

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La personalità dei coniugi nel matrimonio

Nel matrimonio, la personalità complessa di uno dei patners, può causare delle difficoltà alla coppia. Questi tipi di personalità sono più esposte di altre al rischio di dissociazione per cui, il patner con una personalità più semplice, che può essere affascinato dalla poliedricità di patner di questo genere, finisce col seguirlo, esponendosi al rischio di perdersi, di disgregarsi.

Il problema che si pone è tra chi contiene e chi è contenuto. Quest’ultimo diventerà dipendente dal coniuge dotato di una personalità sfuggente e del quale non ci si può fidare interamente, ma, di cui, si sente il bisogno, per conservare una integrità interiore.

Chi contiene, sempre esposto al rischio di dissociazione, potrebbe trovare una unità interiore, se smettesse di cercare, nel patner più semplice, tutte le sfumature che dovrebbero essere correlate con le diverse facce della sua personalità. Ma questi tentativi finiscono con l’arrecare disturbo al patner con una personalità più semplice, che non riesce a fornire risposte acute e complesse e, in questo modo, finisce con lo scoraggiare i tentativi portati avanti dall’altro.

Ugualmente andranno incontro a delusione i tentativi del coniuge più semplice di ottenere risposte semplici.

Alla fine, il coniuge più complesso, si sentirà oppresso da quello che risulta essere uno spazio troppo angusto e finirà con il chiudersi in se stesso.

Per la personalità più semplice, invece, l’ampio spazio offerto dalla natura più complessa, risulterà disorientante, perché non riuscirà mai a sapere dove collocarsi, con il risultato che finirà con l’essere chiusa nel rapporto.

Colui che contiene avrebbe, a sua volta, l’esigenza di essere contenuto, ma, questa richiesta, non può essere riempita dall’altro patner, così finirà con il sentirsi sempre più estraneo al legame e a figurare, sempre, come l’elemento più problematico.

Il soggetto, che è fedele alla relazione, conquista sempre più spazi, mentre l’altro, che si sente sempre meno motivato, incomincia a maturare l’idea di uscirne.

Questa decisione rischia di diventare più matura e pronta a tradursi in realtà nella mezza età quando l’esigenza di unità, di cui, l’indole dissociata della personalità più complessa, necessiterebbe, fa deflagrare il conflitto, spingendola a cercare fuori di sè, in un’altra persona, quando dovrebbe, invece, trovarla in se stesso, la parte che sente mancante.

Compiti del terapeuta

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Il terapeuta dovrebbe aiutare il paziente ad acquisire una personalità autonoma e più armonica, in modo che egli si liberi dalla sottomissione inconscia, tipica dell’età infantile. Per raggiungere questa meta è necessario analizzare la traslazione e risolverla, tenere presenti i fattori, incluso quello religioso, che contribuiscono a formare la sua visione del mondo e che guidano le sue scelte, i valori collettivi assimilati inconsciamenti, le convinzioni radicate che causano dei conflitti all’Io.

Da evitare, anche se, inconsciamente, sarà sempre presente, l’azione suggestiva cosciente, che Jung ritiene non compatibile con i principi del trattamento analitico e considerare errata l’interpretazione di un sogno, se questa non viene approvata dal paziente.

Occorre, inoltre, che il terapeuta eviti di influenzare il paziente con le sue idee filosofiche, sociali e politiche.

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TRANSFERT E CONTROTRANSFERT

Con il termine transfert o traslazione si intendono i sentimenti del paziente nei confronti del terapeuta, mentre con controtransfert o controtraslazione ci si riferisce al vissuto emotivo  del terapeuta nei confronti del paziente.
Mentre il transfert è stato oggetto della ricerca psicoanalitica già agli inizi della storia della psicoanalisi, lo spunto fu offerto dai casi di Anna O., e da quello di Sabina Spielrein; il controtransfert, a lungo trascurato e sottovalutato, è diventato oggetto di studio solo dopo il 1940, e, una volta ammesso, ha contribuito a comprendere anche il transfert.

anna o bertha pappenheim  dora  sabina

Anna O.                          Dora                                   Sabina Spielrein

                                                                                                Bertha Pappenheim                Ida Bauer

Freud arrivò a considerare il transfert come una componente essenziale della relazione terapeutica solo dopo l’interruzione improvvisa della cura da parte di una sua giovane paziente che chiamò Dora. Egli concepì il transfert in modo riduttivo,  ritenendolo sia un meccanismo di resistenza, ostacolo alla presa di coscienza dei materiali rimossi, sia una riedizione di fantasie erotiche infantili, capaci di ostacolare il ricordo di quanto accaduto nell’infanzia del paziente, e impastate di sentimenti contraddittori di amore e odio, desiderio o paura che, attraverso il meccanismo dello spostamento dell’affetto da  una rappresentazione ad un’altra, collegate tra loro da un nesso associativo, venivano trasferite dai genitori sul terapeuta. La ripetizione impedisce l’emergere dei ricordi, mentre la rievocazione completa di quanto accaduto nel passato è considerata indispensabile ai fini della terapia.

Egli escludeva che nella costruzione del transfert, contrariamente a quanto oggi ampiamente accettato, il terapeuta giocasse un ruolo e riconosceva due forme di transfert: positivo, quello che si presenta sotto forma di affetto e stima, negativo, al quale viene assimilato  quello erotico, considerato una forma di resistenza che può esprimersi sotto forma di ostilità, sfiducia e disistima e provocare l’interruzione del percorso terapeutico.

La risoluzione del transfert è favorita, secondo Freud, dalla sua comparsa nel corso della terapia in quanto “nessuno può essere ucciso in absentia o in effigie.”

freud1                                                                                Sigmund Freud

Jung  ricorda che il significato letterale del termine tedesco Ubertrabung, che viene tradotto con traslazione, indica il trasferire da un luogo ad un altro qualcosa e che  questo processo psicologico della traslazione costituisce una forma specifica del processo più generale della proiezione che consiste nell’infondere un contenuto soggettivo  nell’oggetto con il quale si finisce con il confrontarsi come se ciò che si osserva nell’oggetto è qualcosa che esiste oggettivamente e non un elemento soggettivo. Egli assunse, rispetto a questi temi, posizioni contraddittorie. Nel periodo in cui collaborava con Freud riconosceva un’importanza particolare alla traslazione e condivideva con il suo maestro l’idea che il transfert  fosse l’alfa e l’omega dell’analisi. In seguito, avvenuto il distacco,  ritenne questo elemento, a volte, un ostacolo, una malattia, qualcosa di anormale che comportava un prolungamento del trattamento, un elemento non necessario ai fini della guarigione del paziente, a volte, un fenomeno del tutto naturale, che poteva decretare il successo o l’insuccesso della cura. Ritenne che, in alcuni casi, la traslazione potesse rappresentare un buon rimedio, in altri, invece, produrre effetti nefasti.

La relazione del paziente con una figura come il medico, estraneo all’ambiente familiare, offre l’opportunità di uscire dal mondo infantile per fare ingresso nel mondo degli adulti. Questo effetto positivo si verificherebbe, però, a condizione che il paziente non assimili il medico alla madre o al padre perché, in questo caso, la traslazione, invece di rappresentare un aiuto al processo terapeutico, si trasformerebbe in un ostacolo. Jung, comunque, riconobbe significativa sia la presenza, sia la mancanza della traslazione. Inoltre  considerò quest’ultima come non  peculiare della relazione terapeutica, ma presente in tutte le relazioni umane e dunque, non opera del terapeuta, ma preesistente al trattamento.

I mancati progressi nell’analisi, anche quando l’analisi del materiale storico è avvenuta in modo esauriente, sono piuttosto dovuti alla difficoltà del paziente ad agire, ad abbandonare, cioé, l’atteggiamento infantile che egli ha ripetuto nei confronti del medico, attraverso la traslazione, che in questo caso opera come una resistenza, utilizzando la libido in modo regressivo. Ma al pari del paziente, il medico non deve nascondere dentro di sé desideri infantili inconsci e, per fugare questo pericolo, è indispensabile che egli si sottoponga ad una rigorosa analisi che formi il suo carattere, altrimenti non riuscirà ad aiutare i pazienti, l’autoanalisi è ritenuta da Jung del tutto inefficace. La traslazione è utile all’adattamento se si vincono le tendenze regressive di entrambi i soggetti della relazione terapeutica.

L’importanza che il terapeuta assume per il paziente è da ricondurre alla confessione di importanti segreti che, mai condivisi, lo separano dalla comunità umana. In questo, il terapeuta non è diverso dal padre confessore, sono entrambi sostituti delle figure genitoriali e aiutano a liberarsi dai legami familiari troppo opprimenti. Ma, mentre il sacerdote non analizza la traslazione, il terapeuta non può sottrarsi a questo compito se vuole aiutare i pazienti a conquistare una personalità autonoma, affrancandosi dalla inconscia  e spesso anche conscia sottomissione infantile.

Jung era convinto che ad essere proiettato fosse ciò che è riconducibile più alla personalità del paziente in quanto totalità, piuttosto che alle tematiche erotiche infantili, anche se non esclude che questo possa avvenire. Il paziente ripete col terapeuta quel modello di rapporto intimo, non puramente sessuale, che ha sperimentato con i suoi genitori durante la sua infanzia. L’approccio, da riduttivo e causalistico, diventa teleologico, prospettico, tendente ad uno scopo, che per Jung è sostanzialmente quello della ricerca di un rapporto umano e, l’affidarsi all’analista, stabilendo un legame che a volte può assumere caratteristiche infantili, nasconde proprio questa esigenza di contatto, di comprensione. La sensazione del paziente di aver trovato qualcuno che lo comprenda può, già all’inizio dell’analisi, produrre effetti terapeutici sorprendenti, anche se Jung invita a non cedere a facili entusiasmi e a un ottimismo che rischia di negare le difficoltà alle quali il compito analitico è inevitabilmente esposto.

jung1Carl Gustav Jung

Per Jung, analista e paziente, sono entrambi, come individui, coinvolti nella relazione e rifiuta l’invito che Freud rivolgeva ai terapeuti ad essere neutrali, a prendere le distanze da questo fenomeno, diventando opachi per l’analizzato, al quale bisogna mostrare, come una lastra di specchio, solo ciò che gli viene mostrato, al fine di non compromettere la propria salute mentale. Prendere le distanze dal paziente, secondo Jung, pregiudica l’efficacia terapeutica.  E se Freud non sopportava di essere guardato dai suoi pazienti e quindi la sua tecnica prevede che l’analista sieda alle spalle del paziente, Jung preferiva lavorare vis-à-vis, in una posizione di assoluta parità analista-paziente che consente ad entrambi di leggere le emozioni che li attraversano.

Un sentimento forte o una fantasia erotica si può sviluppare quando l’inconscio del paziente tenta di superare la distanza che percepisce tra se stesso e l’analista.

Anche all’analista può capitare di sviluppare delle fantasie erotiche verso il paziente e questo deve per lui costituire una preziosa informazione sul fatto che il rapporto umano con quel paziente non funziona. Inoltre ci possono essere anche sogni che segnalano all’analista che sottovaluta o sopravvaluta o non cura in modo adeguato un certo paziente.

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Jung ritiene, contrariamente a Freud, che il controtransfert sia un fenomeno inevitabile e che non sia da ricondurre all’attivazione di conflitti infantili dell’analista e quindi ostacolo alla sua azione, afferma, al contrario, che il porre l’attenzione sui propri stati emotivi, le proprie fantasie e le reazioni corporee, possa costituire un utile strumento per capire più profondamente la situazione del paziente. E’ importante che l’analista si sia sottoposto ad un’analisi personale, in quanto la sua personalità è ritenuto uno dei fattori principali della cura, più importante ancora, di ciò che egli dice o pensa.

‘ necessario lasciarsi influenzare dal paziente e rispondere alla traslazione con la controtraslazione in quanto Jung è convinto che il terapeuta sia in terapia quanto il paziente e, il rapporto con il paziente, è anche quello di ognuno dei due con la propria coscienza e il proprio inconscio. Le due personalità, per potersi trasformare, si devono metaforicamente fondere e tendere a realizzare la coniunctio che, nel processo alchemico, viene rappresentata concretamente da un rapporto tra uomo, Logos, e donna, Eros, e che, nel processo psicoterapico, deve assumere la forma simbolica.

coniunctioConiunctio oppositorum

L’eros inteso non solo come sessualità ma anche come relazionalità è, e deve essere, molto presente nelle dinamiche del transfert e controtransfert. Un eros che non deve naturalmente tradursi in agito, diventando un comportamento eticamente scorretto in una relazione asimmetrica, ma trovare le sue espressioni nel calore, nell’intimità, nella fiducia che si instaurano tra paziente e analista.

Esporsi può, però, anche rappresentare il pericolo di essere psichicamente contagiati dal paziente che può arrivare a toccare la ferita del guaritore. Se le percezioni del paziente non vengono respinte, in quanto considerate solo proiezioni, ma accolte, perché potrebbero realmente riguardare il terapeuta, possono risultare utili e consentire la cura sia del paziente, sia dell’analista.

hugoHugo Simberg – L’angelo ferito

La proiezione transferale può assumere le caratteristiche idealizzanti, oppure quelle negative. Essa, comunque, consente di scoprire qualcosa di sé che viene spostata su un’altra persona la quale diventa, in tal modo, depositaria sia degli aspetti positivi, sia di quelli negativi.

Non solo nei casi gravi, ma anche in quelli più lievi, oltre ai contenuti personali, possono essere proiettati sull’analista anche contenuti archetipici, come immagini divine o demoniache, con le quali l’analista deve fare attenzione a non identificarsi, ma riconoscerle e restituirle al paziente, che se ne può utilmente servire, integrandole, per il suo processo individuativo. Se il paziente non riesce a distinguere la personalità del medico da queste proiezioni, oscillando tra l’idealizzazione morbosa e un disprezzo rancoroso, risulta preclusa la possibilità di comprendere e diventa impossibile la relazione umana.

Di inconscio collettivo occorre evitare di parlare con persone giovani o psicologicamente infantili, ma è necessario farlo quando sono state superate queste tappe della vita e il rovesciamento dei valori si rende possibile. Attraversando l’inevitabile conflitto tra vecchie e nuove verità, è possibile arrivare a tenere insieme  le due polarità.

Freud, razionale e con un approccio personalistico, rifiutava le immagini archetipiche perché ritenute illusorie, e così gli sfuggì completamente il fatto che l’essenza della traslazione è di tipo archetipico e la sua risoluzione non può avvenire in modo razionale, in quanto in essa si nascondono contenuti collettivi che non si prestano a questo tipo di orientamento.

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L’inizio della traslazione può essere segnalata dai sogni come quello di un incendio nella cantina, o di un ladro che si introduce nella casa, o della morte del padre, o anche di una situazione erotica o ambigua. Fanno la loro comparsa simboli di unificazione dei contrari equivalenti alle “nozze regali” di cui parlano gli alchimisti.

Se il paziente manifesta resistenze e angoscia verso i contenuti emersi dell’inconscio, e verso il rimosso che potrebbe consistere in una psicosi latente, Jung suggerisce di rispettare queste difese e di procedere con molta cautela.

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La traslazione si risolve spiegando al paziente la valenza soggettiva di questo processo e quando diventa chiaro il tipo di utilizzo che il paziente deve fare della libido che si è staccata dal medico. E’ necessario che il terapeuta si astenga dal dare consigli o suggerimenti. La strada per l’impiego della libido liberata può essere utilmente indicata dall’analisi dei sogni e un aiuto può venire anche dalla oggettivazione delle immagini impersonali. E’ importante che l’individuo capisca che ciò che garantisce la sua felicità non risiede all’esterno, nelle persone, nelle cose o nelle idee, ma al suo interno e che il compito consiste nell’affrancarsi dall’oggetto e conquistare quella necessaria centralità, che gli alchimisti indicavano come scopo della loro opera.