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Bulimia 2017-07-05T16:59:48+00:00

 

 

 

La Bulimia nervosa

I criteri adottati per la diagnosi di questo disturbo li abbiamo già indicati introducendo i Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione.

Vediamo ora più da vicino le caratteristiche che la bulimia nervosa presenta e il possibile trattamento.

I fattori che contribuiscono all’insorgenza e al mantenimento di questo disturbo sono, come abbiamo già visto per l’anoressia nervosa, di vario tipo: intrapsichici, riconducibili alle problematiche più propriamente personali, familiari e socio-culturali.

Fattori personali

La bulimia si manifesta spesso, più nelle donne che negli uomini, nella tarda adolescenza o all’inizio dell’età adulta, al momento in cui appaiono i vistosi cambiamenti corporei e psicosessuali, e quando dovrebbe compiersi il distacco dai legami familiari e le relazioni interpersonali diventare più ampie. Spesso, ad esserne interessati, sono adolescenti confusi rispetto alla propria identità sessuale e spaventati dalla loro intimità. Se non trattata evolve verso una maggiore gravità nel giro di 1-3 anni e rischia di cronicizzarsi. Per i pazienti che, invece, seguono un trattamento psicologico, nei casi gravi associato con quello farmacologico, ci sono buone probabilità di guarigione.

Questo disturbo può comparire anche dopo il tentativo di seguire una dieta molto deprivante o succedere ad un comportamento anoressico, in circa la metà dei pazienti l’Anoressia Nervosa evolve verso la Bulimia Nervosa, o ancora a scatenarlo può contribuire un evento stressante o drammatico, come può essere un lutto o l’aver subito un abuso o una violenza. E’ un sintomo che può rappresentare un estremo tentativo di arginare un crollo psicologico.

Il peso delle persone bulimiche non si allontana dalla norma, il loro comportamento è dettato dagli impulsi che le spingono ad abbuffarsi senza riuscire a smettere, e la capacità di controllare sia ciò che si mangia sia la quantità che viene consumata, è molto ridotta. Il ricorso alle condotte compensatorie come il vomito autoindotto, il digiuno, l’abuso di lassativi, di diuretici, di altri rimedi farmacologici, o il praticare un’attività fisica eccessiva, svolta più frequentemente dai maschi, ma diffusa anche tra le femmine, ha lo scopo di evitare di ingrassare. La paura di ingrassare costituisce un vero incubo e il cibo è al centro del pensiero, così come gli interrogativi su come riuscire a smaltirlo; si finisce stritolati nella morsa degli infiniti calcoli di calorie, chili, attività fisica da svolgere. Le occasioni di incontro vengono vagliate e accettate o rifiutate a seconda che si pensi di poter controllare o meno lo stimolo della fame.

Resistere all’impulso delle abbuffate restituisce un senso di sicurezza e di forza. Un fugace senso di sollievo e di piacere, la sensazione di essere riusciti a colmare un vuoto emotivo, ad anestetizzare il dolore e tutti i sentimenti negativi, viene provato, invece, quando si cede alla tentazione di mangiare, in preda ad una spinta compulsiva che sfugge al controllo ma che scatena sensi di colpa, di fallimento, di vergogna, di disprezzo per se stessi, di insoddisfazione generale, ribrezzo per il proprio corpo, ritenuto il principale imputato di tutto ciò che accade.

Il cibo e il senso di sazietà che coprono i sentimenti inaccettabili, la rabbia inesprimibile, l’ansia che mozza il respiro, la depressione.

Il giudizio e l’approvazione da parte degli altri, in questi soggetti estremamente sensibili al rifiuto e alla non accettazione, assume un grande rilievo. E’ dall’immagine corporea e dal peso, dall’omologazione a criteri di bellezza socialmente accettati, che viene fatta dipendere la propria autostima.

Anche se non tutti, tra chi dissente ricordiamo Hilde Bruch, sono d’accordo sulla somiglianza di questa sindrome con l’anoressia, i risultati degli studi a lungo termine sembrano confermare, invece, un forte legame tra questi due disturbi tra i quali oscillano i pazienti che presentano problematicità nel campo dell’alimentazione e per il quale si utilizza un unico termine che li racchiude entrambi: bulimaressia.

Associati a questo disturbo si possono presentare disturbi psichiatrici più o meno gravi come depressione, ansia, fobia sociale, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbi di Personalità, attacchi di panico, abuso di  sostanze, disturbi che assumono un diverso rilievo a seconda che si sia in presenza di una struttura psicotica o nevrotica o border line.

Pur rispettando le differenze individuali ciò che sovente accomuna chi soffre di questa patologia è un Io e un Super-io fragili e questo lo possiamo  dedurre da una incapacità di procrastinare la scarica degli impulsi, non solo quelli alimentari, ma anche quelli sessuali, la promiscuità sessuale è frequente, o quelli autodistruttivi, diffuse sono le condotte autolesive ripetute, anche gravi come il suicidio, oltre alla tendenza a ricorrere all’uso, che si traduce spesso in abuso, di sostanze psicoattive, compreso l’alcool e il fumo.

La bulimia, in presenza di un bilancio elettrolitico alterato, può scatenare anche un arresto cardiaco con esiti fatali.

Fattori familiari

Nelle famiglie delle persone bulimiche spesso anche  i componenti familiari sono in sovrappeso. L’aumento di peso potrebbe derivare, infatti, anche da fattori genetici, oltre che da una disregolazione alimentare.

E’ frequente incontrare una spiccata tendenza al controllo sia nei padri, sia nelle madri. I padri risultano, inoltre, distanti emotivamente e, soprattutto nel periodo adolescenziale, trascorrono poco tempo con i figli. Viene incoraggiata una tendenza al perfezionismo e prospettati livelli molto alti e irraggiungibili nei confronti dei quali è facile che ci si senta inadeguati e che si sviluppi una bassa autostima.

  

Profonda è la dipendenza da entrambi i genitori, così come dalla cerchia familiare più ampia. I processi di separazione non sono stati completati, i figli sono considerati una estensione di se stessi e vengono scoraggiati i tentativi di autonomia e di sviluppo di una propria individualità, mentre l’intrusività e la fusionalità sono molto frequenti, con conseguente mancanza di differenziazione e  rispetto dei confini psichici.

La relazione tra i genitori è povera emotivamente e poco armonica. Scarsa è l’empatia provata nei confronti dei figli, assente o povero il dialogo soprattutto su argomenti riguardanti la sessualità, e il cibo, in questo contesto, viene a rappresentare il sostituto concreto delle cure affettive e delle attenzioni genitoriali carenti.

Si può rilevare, inoltre, una tendenza ad evitare i conflitti, una difficoltà a manifestare i sentimenti e una propensione a reprimere tutto ciò che si pensa potrebbe gettare un’ombra sull’immagine idealizzata della famiglia.

I fattori socio-culturali

I disturbi alimentari in genere sono tipici dei paesi industrializzati e di quei paesi in via di sviluppo che hanno assimilato i modelli occidentali.

In tutte queste realtà socio-culturali i mass-media diffondono, incoraggiano e, in questo modo, creano e  nutrono un immaginario collettivo di bellezza standardizzata e irrealistica, ritenuta da tutti raggiungibile, in cui spicca, tra le caratteristiche fisiche, la magrezza. Il bombardamento pubblicitario di diete e prodotti per dimagrire reclamizzati come miracolosi veicola l’idea che, aderendo a questo modello, si possa raggiungere il successo professionale e sociale, una relazione affettiva soddisfacente e garantirsi la felicità.

Questi messaggi creano l’illusione che si possa essere magri senza grandi sforzi e rappresentano un fattore di rischio soprattutto per quelle persone che, per caratteristiche individuali e familiari, sono già predisposte e presentano  perfezionismobassa autostima. Viene così esaltata l’importanza che riveste il modellare e il monitorare ossessivamente il proprio corpo nella convinzione che questo possa far superare quella sofferenza, che si suppone legata alle loro caratteristiche fisiche, le cui radici sarebbero, in realtà, da ricercare più nel mondo interno.

L’approccio psicodinamico a questo disturbo si è dimostrato efficace e non è incentrato solo sui sintomi, anche se è necessario che questi siano tenuti sotto controllo perché, anche se scompaiono in questa area, potrebbero ripresentarsi in altre ed assumere forme diverse e anche drammatiche, ma tutte tese ad evitare l’intensa sofferenza psichica, il senso di morte e di vuoto interiore.

Alla psicoterapia individuale va necessariamente affiancata una terapia della famiglia che va coinvolta per evitare che il miglioramento del paziente interferisca con l’equilibrio omoestatico del nucleo familiare garantito dal sintomo.

  

L’intervento psicoterapeutico sarà volto a far emergere quelle emozioni, quali la rabbia e l’aggressività, e quei bisogni che, inespressi, vengono spostati sul cibo. Altrettanto importante è riuscire a far acquisire al paziente la capacità di regolare le relazioni e i conflitti relazionali, così come aiutarlo a superare la difficoltà a separasi dalla famiglia e imparare a rispettare la propria individualità. L’analista deve essere in grado di offrire quel contenimento che questi pazienti hanno sperimentato solo come rapporto fusionale e di perdita di sé nell’altro, dove è mancato il rispetto dei confini.

Incoraggiare lo sviluppo di una capacità simbolica che, superando le barriere difensive, lo aiuti ad elaborare le esperienze emotive intrappolate nel sintomo bulimico.