DISTURBO SCHIZOIDE

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DISTURBO SCHIZOIDE 2019-05-16T10:03:37+00:00

IL DISTURBO SCHIZOIDE

       Gli individui che presentano un disturbo schizoide risultano timorosi della vicinanza, tendono ad evitare, o comunque limitare,  i contatti sociali e le relazioni intime, compresi i rapporti sessuali che sono spesso fortemente temuti. Desiderano essere lasciati soli, in quanto, il contatto con gli altri non procura nessun piacere, non suscita emozioni, non riveste alcun significato. Rifiutano il corpo, prendono le distanze dalle emozioni e, quando necessario, attingono, comunque, ad una gamma limitata di queste.

     Spesso dediti ad attività solitarie, appaiono distanti, strani, formali. Risultano freddi o apatici; in realtà sono molto sensibili, ma necessitano di quella distanza di sicurezza che non li faccia sentire minacciati. La freddezza è piuttosto una difesa che non preclude la relazione. Per nulla compiacenti e conformisti, l’effetto che producono sugli altri, così come i giudizi espressi su di loro,  sembrano lasciarli indifferenti.

                                                            

      Secondo alcuni autori sarebbero le relazioni precoci bambino-caregiver che predispongono a questo tipo di personalità caratterizzata da uno stile di attaccamento ambivalente per cui, pur desiderando l’intimità, il bambino rifugge da essa per paura di essere inghiottito. Il fallimento nel ricevere ciò di cui si aveva bisogno porta a convincersi che nessun altro possa soddisfare questo bisogno e che la propria avidità potrebbe danneggiare e/o distruggere gli altri. Da qui si sviluppa una modalità di attaccamento e di respingimento verso gli altri. Coesistono desiderio e paura di diventare dipendenti dagli altri, esponendosi sia al rischio di una fusione, con perdita della propria identità, sia al rischio di distruggere l’altro.

     L’ipotesi che gli studiosi avanzano sull’origine di questo disturbo è quella che siano genitori troppo invadenti, troppo presenti, eccessivamente coinvolti, a causare la sua insorgenza. La comunicazione in questi nuclei familiari sarebbe contrassegnata dalla contraddittorietà e dalla ambiguità, caratterizzata dal doppio legame; messaggi equivoci che scatenano confusione, rabbia e disperazione e alimentano il bisogno di proteggersi da queste situazioni vissute come intollerabili.

     Sono pazienti che tendono, fin da bambini, ad irrigidirsi o a ritrarsi, se abbracciati, vivendo l’altro come un intruso: il gesto di avvicinamento scatena il terrore di essere inglobati, soffocati, assorbiti, ingoiati, minacciati nella loro sicurezza di base.

     Non solo l’eccessiva intrusività, ma anche la deprivazione, un’estrema solitudine e un senso di abbandono nel periodo infantile, possono essere all’origine di questo disturbo. Ricordo un paziente che, in un momento di profonda disperazione , mi disse: “Io sono solo, sono solo da quando sono nato, non ho nessuno, mi rimane solo un ‘pezzetto’ di mia figlia, ma anche lei mi tratta molto male.” Questo paziente, che accusò la moglie, senza nessun fondamento, di averlo tradito e “distrutto”, decise di abbandonare il nucleo familiare, con la fantasia, mai tradotta in realtà, di diventare monaco.

     Mettere una distanza tra sé e gli altri costituisce un modo di dimostrare la propria sicurezza e separatezza, anche se la solitudine che ne consegue è fonte di sofferenza. Per garantirsi un senso di integrità e per evitare il controllo e l’invadenza dell’altro sfoggiano un atteggiamento ironico, distaccato, sprezzante.

     Si sviluppa una tendenza ad assumere un modo di fare che risulta strano e peculiare e che, nelle situazioni sociali, si manifesta nell’essere timido o riservato, inibito, poco spontaneo. L’esterno è vissuto come carico di minacce di distruzione e in grado di attentare alla loro sicurezza e individualità.

     La risposta a questi presunti pericoli si traduce in tendenza al ritiro, a soddisfare i propri desideri nella fantasia, e l’immaginazione è tanto più forte quanto più fragile è la loro autostima. Il ritiro consente loro di evitare il dolore.

     Se si trovano a sperimentare forti tensioni appaiono distaccati dalla propria affettività, indifferenti, inadeguati agli eventi. Attraggono, o sono attratti, da persone socievoli, calorose, ma, se l’avvicinamento viene vissuto come eccessivo, tenderanno ad allontanarsi sempre di più.

     Sono individui che incontrano difficoltà a comprendere il comportamento degli altri e faticano a fornire una descrizione che permetta di avere un’idea di come sono gli altri. Possono racchiudere in un unico termine le caratteristiche di una persona: “Mia madre era una persona ‘fredda’.”

     Scarso l’insight psicologico delle proprie motivazioni e dei propri comportamenti. Il pensiero assume la caratteristica del pensiero concreto e la tendenza è quella ad interpretare il linguaggio in modo letterale.

     Il loro è un comportamento spesso fuori dagli schemi convenzionali, eccentrico o bizzarro, ma non mancano, tra questi pazienti, individui che presentano un buon funzionamento in alcune aree significative. Disposti lungo un continuum si possono collocare sia all’estremo più disturbato, rappresentato dalla schizofrenia, prigionieri del loro terrore e della loro alienazione, congelati in una chiusura autistica, oppure nell’area della creatività, della genialità, e della spiritualità.

     Tra i meccanismi di difesa, oltre al ritiro nella fantasia, in un mondo immaginario, vengono utilizzati: la proiezione e l’introiezione, l’idealizzazione e la svalutazione, o difese considerate più mature come l’intellettualizzazione.

     La personalità schizoide è quella che viene considerata la personalità premorbosa che con più probabilità svilupperà una schizofrenia. Questo non vuol dire che tutti gli individui schizoidi rischino una rottura psicotica.

     Si possono rivolgere ad un professionista per chiedere aiuto quando si rendono conto del loro eccessivo isolamento o delle loro difficoltà sociali o perché temono una rottura psicotica  che, per questi pazienti, è una eventualità da non escludere. Possono, inoltre, anche se con molte resistenze, accogliere il suggerimento, fatto da una persona fidata, di cercare un aiuto.

     Nel lavoro psicoterapeutico è necessario valutare la giusta distanza: se eccessiva il paziente rischia di sentirsi abbandonato e senza speranza, mentre la vicinanza eccessiva attiva paure di essere inghiottito. Il significato della loro esperienza interiore è  potenzialmente comprensibile e può costituire la base di una relazione priva di pericoli con un’altra persona, mai sperimentata prima.

     L’autenticità del terapeuta facilita la consapevolezza delle emozioni e delle fantasie, anche le più inconfessabili, insieme alla capacità di confrontarsi con le proprie profondità interiori.

     La valorizzazione delle fantasie e l’uso, da parte del terapeuta, degli stessi termini usati dal paziente, aiutano a rafforzare il senso di realtà, mentre l’esperienza relazionale con il terapeuta facilita l’apertura ai rapporti emotivi con gli altri e aiuta a superare la scissione tra aspetti di Sé estremamente contraddittori e non integrati.

     Il lavoro terapeutico, inoltre, permette il rafforzamento dell’Io e la capacità di distinguere le idee dalle azioni.